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(Testo tratto dal libro "Le chiese dell'antica Pieve di san Giovanni Battista nella Valle del Biois - Documenti di storia e d'arte" di Loris Serafini e Flavio Vizzuti)

La chiesa di Sappade fu costruita nei primissimi anni del Cinquecento, perché apprendiamo da un documento che fu dedicata a san Pellegrino e alla santa Croce il 14 settembre 1518 dal vescovo Galeso Nichesola, che ne consacrò l’altare maggiore. Gli abitanti del villaggio si impegnarono a mantenerla coperta, illuminata e provvista di tutto l’occorente per la celebrazione di almeno cinque messe all’anno. Il piccolo tempio, formato da due campate, era volto, come ora, ad oriente e aveva un unico altare. Un piccolo cavaliere, posto sopra la facciata principale, sosteneva la campanella (1).
Nel 1583 il vescovo Giovanni Battista Valier, in visita alla Pieve di Canale, dà ordine di dotare l’altare di una nuova pala, disposizione che fu eseguita solo un trentennio più tardi, tra il 1610 e il 1623, quando fu costruita l’alzata che ancora oggi ammiriamo e che riporta indubitabilmente gli stemmi del pievano Marco Persicini, a sinistra, e del vescovo Luigi Lollino, a destra (vedi scheda del catalogo). Un’iscrizione posta dietro al tabernacolo ricorda che l’altare subì due restauri: uno promosso dall’arciprete Michelangelo Filgroter nel 1770 e l’altro dal suo successore Giovanni Battista Zanetti nel 1911, quest’ultimo con il rifacimento delle dorature. Un particolare curioso, quale l’ordine del vescovo Valier di costruire un tetto al campanile, ci fa comprendere che la torre campanaria, edificata da poco, non era stata ancora del tutto completata, come apparirà incompiuta pure al vescovo Lollino che la visiterà 17 anni più tardi (2).
Il Visitatore apostolico De Nores nel 1584 afferma che la chiesa aveva un solo altare consacrato e un reddito di 22 lire annue (3). Il vescovo Lollino, che la visitò il 28 luglio 1600, la descrive con un unico altare posto nell’abside, con la propria pala e gli ornamenti, il pavimento del coro di laste e quello dell’aula di legno, un’unica porta a occidente, una pila dell’acquasanta, il campanile con una sola campana benedetta, tre finestre, il tetto di scandole. Tredici anni più tardi lo stesso prelato darà ordine di sistemare il campanile, non ancora ultimato. La stessa disposizione viene impartita pure dal vescovo Benedetto Benedetti durante la Visita del 1619 (4).
La Visita del vescovo Dolfin del 1626 fornisce una descrizione dell’altare annotando che la pala presenta la figura della Croce con ai piedi la beata Vergine, santa Maria Maddalena e san Francesco, forse una errata interpretazione di san Giovanni apostolo, dal momento che nella Visita successiva è citato il discepolo evangelista. Nel 1635 la pala è dorata ancora solo parzialmente, mentre il resto appare di un semplice color noce. Verso sud una piccola sacrestia a volto contiene, tra l’altro un calice d’argento, due candelieri, una lampada e una croce di ottone. Il campanile è un semplice “cavaliere” posto sopra la porta centrale e ha una sola campana; il tetto è di larice. Prima di partire dalla chiesa il prelato dà ordine di acquistare un nuovo messale secondo il rito riformato (5). In questi anni le suppellettili del sacro edificio si riducono a pochi oggetti: un calice con patena d’argento, una croce e due candelieri di ottone dorato, un secchiello di rame, un “pezzo di corame d’oro per l’antipetto”, una “cassella di nogara per l’offerta in chiesa”, un crocifisso di legno, un quadro raffigurante la Pietà, una lampada, due pianete, cinque tovaglie e pochi altri indumenti liturgici (6).
Il sacro edificio viene visitato parecchie volte nel corso del Seicento. Era l’epoca della Controriforma e i vescovi erano preoccupati di far applicare le disposizioni del Concilio di Trento fino alla lettera. Durante la Visita del 1641 il vescovo Malloni osserva che nonostante gli ordini dei suoi predecessori non si era ancora provveduto a risistemare il campanile che versava in condizioni precarie. La storia si ripete ancora nel 1655, quando il prelato ordina la ricostruzione della torre campanaria, dal momento che la campana è sostenuta da un castello di travi pericolanti e non esiste ancora un campanile degno di tale nome. Nella chiesa il prelato rileva che c’è una cassa per le offerte della quale una chiave era tenuta dal pievano e l’altra dal massaro. Al termine della Visita il vescovo dà ordine di chiudere l’abside con dei cancelli, di stendere un arpese di ferro o una trave di legno sul quale porre un crocifisso nell’arco del coro (7).
Nel 1662 il vescovo Malloni osserva che la chiesa – che ha dipinte sui muri le croci della consacrazione – ha due finestre carenti di vetri, che il prelato ordina di riparare, e una torre campanaria piccola con una sola campana. Mons. Berlendis raccomanda di costruire il pavimento dell’abside in pietra (8). In questo periodo le suppellettili della chiesa erano estremamente essenziali, come si comprende dai resoconti: quattro candelieri e una lampada di ottone, una sola campana, un calice con il piede di rame, due pianete di seta rossa (9).
Un importante intervento di ristrutturazione dell’edificio fu attuato dalla Regola di Sappade-Caviola nel 1657, come ricorda una data incisa sull’arco trionfale. La dicitura afferma che fu “edificata” nel 1657, ma in realtà, essendo la chiesa già documentata nel secolo precedente, dovette trattarsi di un completo rifacimento forse della navata, seguito dalla costruzione del nuovo pavimento in pietra dell’abside, avvenuta intorno tra il 1662 e il 1669, quando nell’arco del trionfo viene posta l’immagine di Cristo crocifisso, secondo la tradizione. Nella sacrestia – posta dietro l’altare e illuminata da due finestre con inferriate – c’è il gonfalone con l’immagine della santa Croce. In questa epoca il reddito annuo della chiesa si aggira sui 100 ducati all’anno (10).
Un nuovo intervento avviene a ridosso del 1686, dopo che il vescovo Berlendis aveva dato l’ordine di chiedere “…i fori nell’arco sopra la porta…” e di imbiancare la chiesa (11).
All’inizio del Settecento la chiesa è dotata di due calici – uno di argento e uno di ottone – di tre pianete di diverso colore, di otto tovaglie, una lampada di ottone, un gonfalone, tre croci, di cui una di ottone, una di legno e una d’argento, mentre alcuni anni più tardi vengono ricordati anche una pace e un piatto da offerta di ottone. Le messe basse di legato erano solo cinque, mentre una cantata doveva essere celebrata alla Pieve (12).
Il tempio era venerato in tutta la valle per il titolo della croce di Cristo, di cui tutta la diocesi di Belluno – che gravitava nella sfera culturale e liturgica di Aquileia – sentiva molto la ricorrenza. Pertanto il 3 maggio, festa della Santa Croce, veniva effettuata una grande processione, alla quale intervenivano tutte le famiglie della Pieve. Al mattino presto un sacerdote cooperatore celebrava una messa nella chiesa della Pieve e accompagnava parte dei fedeli – quelli che non potevano compiere l’intero tragitto del pellegrinaggio – fino a Celat, per poi risalire a Canale fino all’atriol de Rividela e alla Pieve. Sulla piazza avveniva il cambio e il Pievano o un cappellano di Canale guidava la processione insieme al mansionario di Caviola. Apriva il corteo lo stendardo con la croce della Pieve, e quando giungeva in prossimità del villaggio di Caviola, le campane iniziavano a suonare e c’era il caratteristico bacio delle croci, tra quella della chiesa madre e quella della filiale. I fedeli raggiungevano poi Sappade, dove veniva celebrata una messa solenne insieme al mansionario del villaggio. Al termine del rito la chiesa pagava un rinfresco al cappellano di Canale e ai cantori. Tuttavia, col passare degli anni, il numero di chi si fermava a mangiare era notevolmente cresciuto e il rinfresco di prima si era trasformato in un pasto vero e proprio, per cui le povere entrate del luogo sacro non riuscivano più a sostenerne la spesa. Così il vescovo Bembo decretò che non si spendessero per l’occasione più di 12 lire e che i cantori che accompagnavano la processione non fossero più di dieci (13). Il corteo proseguiva poi attraverso i villaggi di Feder, Fregona e Carfon fino a giungere alla chiesa di San Simon, da dove rientrava alla sera nella Pieve di Canale (14).
Il 1720 fu un anno memorabile la chiesa, danneggiata da un terribile incendio, che risparmiò fortunatamente l’altare. In seguito al danno subito, la cappella fu completamente ricostruita e furono innalzati pure due altari laterali, dedicati alla Beata Vergine e a sant’Antonio (15).
Nel 1833 i falegnami Giovanni Tomaselli e Mattio Di Mio e il muratore Antonio Valt prendono l’appalto dalla Fabbriceria di Canale per il restauro del tetto “a quattro faciate” del campanile (16). Sette anni più tardi furono ricostruiti gli altari laterali. La pala di quello delle sante Filomena e Maria Maddalena – culto introdotto nel Bellunese da papa Gregorio XVI – è collocata sopra l’ingresso principale e riporta la scritta “Valt Apollonio detto Jore (17) fece far l’anno 1840. Nel 1848 Margherita Da Pos del fu Giovanni di Carfon offriva 85, 71 lire austriache di legato per comperare l’olio da consumare nelle lampade poste davanti ai due altari laterali di sant’Antonio da Padova e di santa Filomena nelle maggiori feste dell’anno e pure nelle minori se avanzava ancora denaro (18).
Nuovi lavori di ristrutturazione generale avvennero nel 1858, tra 1884 e il 1888, quando fu riparato il tetto e nel 1890, quando fu eretta la Via Crucis (19).
L’affetto per la loro chiesa non smorzò certamente gli animi dei fedeli di Sappade, che nel 1860 offrirono alla Fabbriceria 36 lire affinché provvedesse al restauro della pianeta rossa della chiesa. Una raccolta del 1891, promossa da Angelo De Biasio, rese possibile l’acquisto di un manto funebre che da usare gratis per i funerali dei donatori e dei poveri e al pagamento di 50 centesimi per gli altri. Gli introiti sarebbero stati devoluti alla chiesa. Una ventina di anni più tardi Benedetto Da Pos, lo scultore di Carfon, eseguiva una croce per il gonfalone da morto (20).
Nel 1897 il mansionario Alessio Marmolada era riuscito a raccogliere la cifra di 631, 42 lire per il restauro del campanile. Tra il 1910 e il 1911 Giuseppe Garizzo e Michele Codognato di Venezia eseguono una nuova doratura dell’altar maggiore e degli altari laterali, resasi possibile grazie alle offerte degli abitanti di Sappade e alla collaborazione di Pietro De Luca, Florindo e Cesare Da Rif, Pietro De Mio e al falegname Antonio Follador (21).
Negli anni Venti si procede al restauro della sagrestia – dove è conservato uno splendido esempio di armadio settecentesco che la tradizione vorrebbe attribuire a Giovanni Marchiori (vedi scheda del catalogo) – , eseguito da Antonio De Biasio e dal falegname Giuseppe Marmolada. Per l’occasione la popolazione fa una sottoscrizione per l’ingrandimento fotografico del ritratto del mansionario don Piero Follador, che si ammira ancora oggi nella sagrestia (22).
Visto l’attaccamento dei fedeli alla propria chiesa, l’11 febbraio 1919 il vescovo concedeva la facoltà di conservare il Santissimo, concessione molta rara in passato (23).
Il 5 ottobre 1922 il vescovo Giosuè Cattarossi benedisse le campane destinate a Sappade insieme a quelle di Forno di Canale, Gares, Valt, Sappade, Caviola. Le tre campane di Sappade dedicate alla Beata Vergine Maria, a sant’Antonio e alla santa Croce ebbero come “madrine” rispettivamente Maria Dell’Agnola e Margherita Follador, Maria Ganz fu Valentino e Rosa Valt fu Martino e Antonia Dell’Agnola. Pesavano rispettivamente 400, 200 e 120 chilogrammi. Una di esse fu fusa e benedetta nuovamente nel 1932 dall’arciprete don Filippo Carli (24).
Una lapide - collocata all’esterno della chiesa e dettata da don Filippo – ricorda la figura di don Pietro Follador (1827-1872), sacerdote e poeta d’ingegno acuto, che oltre a essere nativo del villaggio, fu pure mansionario dal 1870 alla prematura morte, avvenuta nel 1872.
Nel 1966 la chiesa fu danneggiata dall’alluvione del 4 novembre e fu restaurata nel 1968 (25).
L’edificio subì una ristrutturazione generale nel 1978 su progetto dell’architetto Barcelloni Corte, quando fu ricostruito il pavimente e vennero purtroppo smantellati e riposti in campanile gli altari laterali, di cui si auspica la ricollocazione. Al loro posto furono collocate le due statue della Vergine Immacolata (a sinistra) e di sant’Antonio da Padova (a destra), quest’ultima scolpita da Valentino Riva.
Nell’estate del 1989 un fulmine danneggiò il tetto e l’orologio del campanile. Nell’autunno la piccola copertura venne pertanto ricostruita, come pure furono rifatti i quadranti dell’orologio (26).

La chiesa era curata da un sagrestano che riceveva un regolare stipendio per il suo lavoro. All’inizio del Novecento riscuoteva cinquanta lire dalla Fabbriceria di Canale, mezza calvia di biada dalle famiglie e un assegno annuo di dieci lire dalla Frazione per la manutenzione e regolazione dell’orologio della torre campanaria, oltra a una libbra di farina raccolta famiglia per famigli la vigilia del patrono della Pieve, san Giovanni Battista, dopo il suono delle campane. Per accedere a questo impiego era necessario partecipare a un concorso indetto dalla Fabbriceria stessa, che però pretendeva che i canditati godessero buona fama e che fossero di irreprensibile condotta morale e religiosa (27).
Il pievano aveva l’obbligo di celebrare la messa nella chiesa tre volte all’anno: il giorno dell’invenzione della santa Croce (3 maggio), il 14 settembre, festa dell’esaltazione della santa Croce e il 15 settembre, anniversario della consacrazione della chiesa (28). Dal 1635 siamo a conoscenza che la Regola di Sappade-Caviola aveva istituito anche una messa il giorno di san Barnaba (11 giugno), di san Pellegrino (1° agosto) e di san Donato (7 agosto) (29).
La cura spirituale era pertanto saltuaria e discontinua. Con la fondazione della mansioneria di Caviola, i Regolieri di Sappade si assicurarono che il sacerdote salisse spesso a celebrare la messa e per questo motivo contribuivano alle spese del beneficio di Caviola. Tuttavia – nonostante i loro sforzi economici – il mansionario saliva raramente. Così nel 1717 scrissero una lettera di lamentele al vescovo: “Noi poveri huomini della villa di Sapade della Pieve di Canal, che con tutta carità e zelo di divotione siamo concorsi…all’institutione della mansionaria nella villa di Caviolla con l’espressa però nostra intentione che per quello importa il nostro carato, siano cellebrate nella nostra chiesa di Sappade tante messe, e vedendo che non viene adempita la conditione, cellebrandosi tutte le messe a Caviolla, genuflessi a’ piedi della Vostra Signoria Illustrissima, con humiliatione suplichiamo la bontà e carità sua, a consolarci, che tanto imploriamo e speriamo. Gratie.” (30). La soluzione definitiva al problema avvenne però solo nel 1786, quando gli uomini del villaggio riuscirono a costituire un capitale e a procurare una canonica affinché venisse ad abitare un sacerdote in mezzo a loro. Tuttavia solo nel 1821 la mansioneria fu istituita legalmente agli effetti civili e riconosciuta dal vescovo, quando già quattro mansionari si erano alternati in tale carica. Con un atto notarile del 15 aprile 1821 gli abitanti dei villaggi di Sappade e di Valt delegarono le pratiche per l’istituzione a Martino quondam Pietro Folador, Matteo quondam Francesco Folador, Biasio Luciano Folador quondam Pietro Antonio, Giovanni Battista e Pietro quondam Silvestro Valt, che avrebbero agito per conto delle due ville. Il capitale della mansioneria fu istituito con il contributo di molti fedeli degli altri villaggi della Pieve, fra i quali spiccano per generosità Antonio Dell’Agnol quondam Antonio e Francesco Da Rif quondam Pellegrino. Le spese delle pratiche furono in parte coperte dalla generosità della ditta Follador di Sappade che vendette parte del Monte Cavia per questo scopo religioso e in parte da Ganz Antonio e Domenica.
Le donazioni riuscirono a costituire un capitale di ben 27 terreni, tali da permettere l’acquisto di una casa del 1710 da adibire a canonica, costituita da sei stanze e soffitta dagli eredi del fu Simon De Biasio nel 1831 (31).
Il mansionario poteva contare su uno stipendio 900 lire venete annue, una “questua di formento, botiro od altro che le verà individualmente corisposto secondo lo stato delle famiglie”. In cambio era tenuto a celebrare 117 messe all’anno di legato e 91 per i benefattori della mansioneria, le quali dovevano essere celebrate i giorni festivi o di venerdì. La messa festiva doveva essere celebrata “ad un ora e mezza di giorno, onde possano quella gente concore dopo alle altre messe che vengono cellebrate a Caviola e alla parochiale”; nei giorni feriali doveva invece essere detta “ad un ora di giorno”. Il sacerdote aveva inoltre l’obbligo di recitare “la corona del Signore” ogni venerdì, come pure di la Via Crucis i venerdì di Quaresima, eccettuato l’ultimo; di dire il rosario “la sera di tutti i giorni tanto festivi che feriali da Quaresima, e di tutte le feste susseguenti fino al primo di otobre, ogni anno, e ciò circa un’ora avanti note”. Era naturalmente tenuto ad assistere gli ammalati e ad amministrare i sacramenti, come pure ”…accadendo che non esistessero la scuola normale, di far scuola ammaestrando a legere, scrivere ed altro la gioventù previo la conveniente mercede, riservando sempre le superiori disposizioni su questo ramo di istruzione” (32). La scuola infatti stava diventando obbligatoria proprio in quegli anni, grazie alle innovazioni del governo austriaco.
Il mansionario viveva in una casa poco distante dalla chiesa, la cui manutenzione era a carico delle ville di Sappade e Valt. Restauri nell’abitazione furono eseguiti nel 1922 e nel 1968, quando il Consiglio Amministrativo Diocesano decretò la vendita di un terreno in località Meneghina per effettuare la manutenzione della canonica, che dopo il passaggio dei beni all’Istituto di Sostentamento del Clero fu venduta a privati.
La presenza del mansionario venne a mancare nel 1956 dopo la rinuncia al beneficio di don Francesco Zanderigo, ultimo titolare.

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(1) AVBL, Atti vescovili e curiali, Protocollo del vescovo Galeso Nichesola, 1516-1550, busta 3, c. 136v, anno 1518; Tamis F., I cinque secoli di una pieve, Belluno 1958, p 26.

(2) AVBL, Visita pastorale vescovo Giovanni Battista Valier – 1583, busta A2/11, p. 25; Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1600, busta A4/1A(V), c. 1v.

(3) T. De  Nardin-G.Tomasi, Il capitaniato di Agordo nel Cinquecento, Firenze, Istituto di Studi per l’Alto Adige, 1989, pp. 97-98.

(4) AVBL, Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1600, busta A4/1A(III), c. 2r; AVBL, Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1613, bustaA4/12, fasc. III, c. 2; AVBL, Visita pastorale vescovo Benedetto Benedetti – 1619, busta A4/16, c. 32r.

(5) AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 52v. Il prelato sottolinea che nella pala non c’è alcuna immagine di san Pellegrino; AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 171v; AVBL, Visita pastorale vescovo Giovanni Dolfin – 1626, A5/1, c 57r; fasc. IIB, c. 10v, n. 3; AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 52v.

(6) AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 169v.

(7) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis – 1655, busta A7/8, fasc. IV, p. 2; AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1641, busta A6/11, pp. 37; 95.

(8) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis  – 1662, busta 8/1, fasc. I, c. pp. 25-26, 57.

(9) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis – 1669, busta A8/6, c. 2v.

(10) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis – 1669, busta A8/6, c. 44.

(11) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis – 1686, busta A9/5, c. 20.

(12) AVBL, Visita pastorale vescovo Valerio Rota – 1724, busta 18/9, fasc. I, c. 3r.; AVBl, Visita pastorale vescovo Giovanni Francesco Bembo – 1708, busta 12/10, fasc. A, c. 1r.

(13) AVBl, Visita pastorale vescovo Giovanni Francesco Bembo – 1708, busta 12/10, fasc. D, c. 73v.

(14) Questa antica tradizione, abbandonata nel 1950 con la costituzione della parrocchia di Caviola, fu ripresa in occasione del Giubileo del 2000 dalle parrocchie della Forania di Canale d’Agordo e viene effettuata in particolari ricorrenze.

(15) Tamis F., Storia dell’Agordino, Vita religiosa, vol II, p…

(16) AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, Restauro campanile, 1833-34, busta  72/8.

(17) Valt Apollonio detto Jore è il padre di Giovanni Maria, che ritroviamo come costruttore della chiesa chiamata appunto “di Jore” nel 1859.

(18) AAC, Fabbriceria, Legati, chiesa di Santa Croce in Sappade, 1848.

(19) AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, Lavori di restauro, 1858, busta 72/9; AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, Lavori di restauro, 1884, busta 72/9; AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, 1889-1890, busta 72/10.

(20) AAC, Fabbriceria, , Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, 1860, busta 72/9; AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, 1891-1911, busta 72/10.

(21) AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, Lavori di restauro del campanile, 1895, busta 72/9.

(22) AAC, Fabbriceria, Gestione edifici arredi e opere di culto, chiesa di Santa Croce di Sappade, Lavori di restauro, 1910-1925ca, busta 72/9.

(23) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di Santa Croce di Sappade, 1932, busta 26N/7.

(24) AAC, Il Celentone, bollettino parrocchiale di Canale d’Agordo, novembre 1922; AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di Santa Croce di Sappade, 1932, busta 26N/7.

(25) APC, Gestione edifici, arredi e opere di culto, chiesa di Sappade, Restauro dopo l’alluvione, 1966-1968.

(26) APC, Cime d’Auta, bollettino parrocchiale di Caviola, dicembre 1989, p. 2; APC, Gestione edifici, arredi e opere di culto, chiesa di Sappade, Restauro cella campanaria, 1989.

(27) AAC, Fabbriceria, contabilità speciali, salariati, sagestani, chiesa di Santa Croce di Sappade, 1902, busta 103/3.

(28) AVBL, Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1613, busta A4/12(IA), c. 39r.

(29) AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, cc. 50-51; AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis – 1669, busta A8/6, c. 44.

(30) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa della Beata Vergine della Salute di Caviola, busta 26N/2A.

(31) AAC, Beneficio mansionarile di Sappade, Inventario dei beni immobili, delle rendite e dei beni mobili del beneficio, 1835-1890ca, busta 130/5; APC, Beneficio mansionarile di Caviola, Stato patrimoniale, 1938.

(32) AAC, Beneficio mansionarile di Sappade, Atti istitutivi, 1821, busta 130/1.

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