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(Testo tratto dal libro "Le chiese dell'antica Pieve di san Giovanni Battista nella Valle del Biois - Documenti di storia e d'arte" di Loris Serafini e Flavio Vizzuti)

Non siamo a conoscenza dell’anno in cui fu edificata la chiesa di San Sebastiano di Falcade. Sappiamo soltanto che fu consacrata tra il 1471 e il 1478 dal vescovo di Belluno Pietro Barozzi e che facilmente si deve dunque ascrivere alla prima metà del XV secolo. Il motivo per cui gli abitanti della Regola di Falcade avessero voluto dedicarla ai santi Sebastiano e Fabiano è verosimilmente riconducibile al fatto che essi erano invocati contro le pestilenze. E fu probabilmente un’epidemia a far sì che qualche fedele o magari pure l’intero villaggio proponesse la costruzione di una cappella per invocare la protezione di questi santi, difensori per eccellenza – soprattutto san Sebastiano – dalle malattie incurabili, come la peste.
La chiesa primitiva era di modeste dimensioni, con una piccola abside dipinta dominata quasi completamente da un grazioso Flügelaltar forse del maestro Hans Kiendl, del quale ancora oggi sono conservate le tre statue centrali (vedi scheda del catalogo) e l’antica mensa – un grande blocco di pietra – scoperta in recenti rilievi sotto il paliotto dell’altar maggiore. Nel primo Cinquecento – secondo quanto riportato dal primo inventario a noi noto, scritto dal cancelliere del vescovo Galeso Nichesola nel 1518 – era dotata solamente delle suppellettili essenziali: un unico calice d’argento con le sue patene, due pianete – decorate con figure di santi – una croce di rame, un messale a stampa, quattro tovaglie e un gonfalone (1). I suoi possedimenti erano limitati – da quanto narra il vescovo Andrea Filippo Donato, che la visitò nel 1539 – a una ventina di terreni (2). L’edificio fu oggetto di alcuni lavori di ristrutturazione effettuati dopo che nel 1583 il vescovo Giovanni Battista Valier, in visita alla Pieve di Canale, dava ordine di ricostruire il pavimento e di dotare l’altare di una nuova pala, disposizione che fu eseguita solo verso il 1655 (3). Secondo la relazione della visita Apostolica di De Nores del 1584, conservata nell’Archivio Segreto Vaticano, la chiesa aveva una rendita annua di 4 ducati, ossia 24 lire (4).
Il 28 luglio 1600 il sacro edificio viene ispezionato dal vescovo Luigi Lollino, che ne dava la prima descrizione completa: “…Ha nella parte orientale, sotto una piccola cappella, un unico altare consacrato con la pala…”. Nella relazione si rileva che il sacro edificio aveva due porte, una a occidente e l’altra a meridione, una campanella, il pavimento di legno e il tetto di scandole. La torre campanaria era volta a sud e conteneva una sola campana. La sacristia era nella parte sottostante alcampanile (5). Al termine della Visita il prelato dà ordine di restaurare il tetto della chiesa e di costruire un’acquasantiera (6).
Durante la Visita pastorale del vescovo Benedetto Benedetti – avvenuta nell’agosto 1619 – i Regolieri di Falcade si lamentano con il prelato che il pievano non rispetta sempre la consuetudine di celebrare le quindici messe che era tenuto a officiare nella chiesa di San Sebastiano. Vengono avanzate poi le richieste di allargare una porta, di acquistare una nuova campana e di poter istituire una cassa indipendente da quella centrale della Pieve. Fino a quel momento infatti le offerte della Pieve erano amministrate in forma accentrata e gli uomini di Falcade si lamentavano che il loro denaro non veniva investito bene, trascurando la manutenzione della loro chiesa, dal momento che il pievano permetteva che vi fossero massari“…con puocha praticha et carittà” (7).
Nella Visita del 1626, il vescovo Dolfin completa quanto aveva scritto il suo predecessore, ossia afferma che l’abside è volta ad oriente ed è affrescata con immagini sacre (8); ha un altare consacrato e una torre con una sola campana. Il Flügelaltargermanico more” porta le immagini della Beata Vergine e dei santi Fabiano e Sebastiano (9). Sulle portelle sono invece dipinti san Giovanni Battista e sant’Antonio abate. L’intero complesso è sormontato da una crocifissione. Le pareti del sacro edificio mancano delle croci della consacrazione, la quale però è assolutamente garantita dalla memoria degli anziani. La sacrestia è posta sotto il campanile. Tra la suppellettili mons. Dolfin vede un calice con la coppa d’argento e la patena di rame, che subito interdice e ordina di sostituire con una di argento; ci sono poi due pianete e 13 tovaglie, due camici e due corporali (10).
Anche nell’inventario del 1635 la chiesa appare ancora assai povera di argenteria: un solo calice con la patena, a fronte di una croce di rame dorato, un secchio di rame, una lampada e una croce di ottone, una lampada di ferro e una lanterna, un pallio di cuoio dorato, un antipetto con il suo pallio e due gonfaloni di cui uno dipinto (11).
Nella Visita del 1641 mons. Malloni ordina di abbandonare l’usanza di seppellire i bambini non battezzati vicino al muro della porta laterale, dove gli abitanti della Regola di Falcade erano soliti dare sepoltura ai loro piccoli morti prima di fare in tempo a ricevere il sacramento. Davanti all’altare pende una lampada alimentata con le entrate della chiesa, che ammontano a due lire all’anno. L’abside è chiusa da cancellate; il campanile sorregge ancora una sola campana. Davanti all’ingresso della chiesa c’è una scala di legno che conduce all’interno della torre campanaria. Sulla parete sud ci sono tre finestre di vetro. Al termine della Visita il vescovo dà ordine “…per l’altare che si facci una palla decente, il cui muro si uguagli alla mensa che non vi resti vacuo…”; inoltre ingiunge di porre un’acquasantiera anche all’ingresso laterale e che il campanello adibito ad avvisare dell’inizio della messa debba essere posto sopra la porta della sagrestia(12).
Tuttavia l’attaccamento dei Regolieri alle tradizioni e alle opere d’arte della loro chiesa fa sì che l’ordine di mons. Malloni di ricostruire l’altare non sia stato ancora eseguito quando il suo successore, mons. Giulio Berlendis, visiterà Falcade nel 1655 e vi troverà ancora al suo posto il vecchio Flügelaltar (13). La prescrizione fu comunque attuata tra il 1655 e il 1662 perché quando il vicario di Berlendis tornerà in Visita nel 1662 troverà al posto del Flügelaltar una nuova pala d’altare, avente nella parte superiore la figura della Vergine e nel mezzo le immagini di san Sebastiano, sant’Antonio da Padova e di altri santi. Il vecchio Flügelaltar, era stato smantellato e posto sulla parete verso settentrione, in fondo alla chiesa. Al termine della Visita il vescovo – che aveva consacrato una nuova campana per la chiesa – ordinava di aggiungere un inginocchiatoio e un’immagine sacra al confessionale e di ricostruire il calice, usando la vecchia coppa (14).
Nel 1669 il tempio appare dotato ancora delle suppellettili essenziali: una sola lampada pendente davanti al crocifisso nel coro affrescato e illuminato da una sola finestra dotata di vetri e inferriate e due candelieri di ottone, due calici, di cui uno interdetto, una pace di ottone argentato, un gonfalone con l’immagine di san Sebastiano, tre pianete e una berretta da prete (15).
La chiesa, fin dall’origine, era servita dal pievano di Canale, al quale contribuiva le decime per il sostentamento. Inoltre partecipava alla manutenzione della chiesa matrice di Canale, della quale era filiale (16). Il pievano aveva  che aveva l’obbligo di celebrarvi la messa il giorno di San Sebastiano (20 gennaio), il martedì Santo, il 29 luglio, festa di santa Marta e anniversario della consacrazione della chiesa, il 25 agosto anniversario della dedicazione dell’altare e una volta al mese a suo piacimento (17).
Tuttavia, verso il 1677 i Regolieri si lamentavano che il pievano Silvio Doglioni trascurava talvolta la celebrazione della messa nella loro chiesa. Il cappellano di Canale infatti non sempre raggiungeva la chiesa nei giorni festivi e qualche domenica il villaggio rimaneva privo dei sacri riti. Così il 27 giugno dello stesso anno gli huomini di Falcade fecero firmare un atto con cui il loro pievano si impegnava direttamente o tramite un cooperatore a officiare la loro chiesa, promettendo che se avesse mancato anche una sola volta, avrebbe accondisceso che i Regolieri si eleggessero un sacerdote che venisse ad abitare in paese, senza tuttavia ledere i diritti della Pieve. Don Silvio non riuscì a tener fede alla parola data e i capi famiglia procedettero all’istituzione di una mansioneria edificando per prima cosa un’apposita canonica, demolita per costruire l’attuale strada dai militari nel 1916. Gli incaricati designati dalla Regola passarono di casa in casa raccogliendo le adesioni con cui ciascuno dei settantatre Regolieri laudanti (cioè che approvavano la decisione della Regola) si impegnava a “…dare la biada, sive formento et altre biade, con l’esclusione dell’imprestanza del pane, il giorno di tutti li Santi, dovendo essere impiegata a quest’opera pia”. Il salario offerto al mansionario dalla Magnifica Regola era di 80 ducati all’anno, versati a rate i giorni delle Quattro Tempora, oltre a settantasie calvie di frumento e a una questua che veniva concesso di effettuare allo stesso mansionario nel territorio della Regola il giorno di san Giorgio, “…ricevendo per carità quello che da fedeli gli veniva presentato”. Il mansionario era tenuto a cantare una quarantina di messe solenni all’anno (18) e a presiedere alle processioni tutte le feste di precetto dal 3 maggio (festa dell’Invenzione della santa Croce) al 14 settembre (festa dell’Esaltazione della santa Croce) e il giorno seguente la festa della Pentecoste, quando i fedeli di Falcade facevano una processione intorno alla campagna. Inoltre tutti i fedeli erano tenuti a partecipare alle processioni della Pieve di Canale. Almeno fin dai primi anni del Settecento veniva celebrata una messa il 2 luglio – festa della Madonna dell’aiuto – e veniva fatta un’importante processione il 2° giorno di Pentecoste. Il sacerdote poi veniva pagato per effettuare speciali rogazioni intorno ai campi per far crescere il raccolto (19) e poteva disporre liberamente delle intenzioni di tre messe ogni settimana, mentre ogni prima domenica del mese doveva celebrare la messa per i benefattori della chiesa di San Sebastiano. Inoltre doveva presentarsi al capezzale degli infermi ogni qualvolta gli fosse richiesto “per obligo, e per li sani sarà cortesia sua se vorrà esercitarsi con il consenso del reverendo signor pievano”.
Al mansionario Giovanni Battista Pellegrini di Livinallongo che nel 1684 assume l’incarico di nuovo mansionario, la Regola sottopone pure altri paragrafi da rispettare: “…Le feste grandi resti obligato a cantar messa, e se haverà cantori, anco a cantar ogni festa vespro e ogni sabbato e le vigilie della Madonna cantar le littanie della Madona e ricitar la terza parte del rosario e la Quaresima dire ogni vigilia compita e ogni sera il rosario, se vi sarà chi l’aiuti;…il giorno della Comemoratione de morti la Regola vuol la santa messa a Falcade ha buon ora, acciò poi possa andar alla Pieve ad aiutar a cantar doppo la messa, la sarà patrona, e quelli della Regola che vorrà andar a far cantar per li suoi morti e pregar per lori possia andar e quelli che non podese andar a messa alla Pieve ascolterà la messa a Falcade, acciò nissuno non habbia scusa di non ricordarsi delli suoi morti e pregar per lori, e in tal giorno applicar il sacrificio per li defunti di essa Regola”. Il massaro della chiesa doveva versargli sette lire per il vino usato durante messa e una calvia di frumento da tre lire per fabbricare le ostie, compito che però spettava allo stesso mansionario. Il contratto con il sacerdote durava tre anni, terminati i quali se egli aveva osservato scrupolosamente le condizioni, poteva rimanere ancora in carica; mentre se voleva andarsene era obbligato a dare l’avviso ai Regolieri un mese prima della partenza, in modo che essi potessero cercare un altro prete. L’atto riporta le sottoscrizioni di tutti i mansionari fino al 1771, quando assunse l’incarico don Antonio Bet (20).

Alle soglie del XVIII secolo il sacro edificio risultava troppo angusto per le esigenze del paese. L’aumento della popolazione e il relativo miglioramento delle condizioni di vita portarono i fedeli di Falcade a voler ingrandire la propria chiesa e annettervi un cimitero, per non dover ogni volta portare i morti fino alla Pieve di Canale, come si usava fare fino a quel momento. Così nel 1701 essi avanzarono la domanda al vescovo. Tra le motivazioni addotte c’era quella che durante l’inverno la caduta della neve abbondante non permetteva spesso di dare sepoltura ai defunti, come era accaduto nel febbraio del 1701, quando il corpicino di un bambino figlio di un certo Battista Strim dovette attendere tre giorni per poter raggiungere il sagrato della Pieve di Canale e trovare finalmente pace (21). La domanda – che non sortì subito l’effetto sperato – fu rinnovata nel 1708 e questa volta il vescovo, che vide di persona la necessità durante la Visita pastorale, concesse ai Regolieri di allungare e di allargare la chiesa in modo che la navata fosse lunga 10 passi e larga 5 con un’abside lunga 4,5 passi e larga 4. Inoltre permetteva la costruzione di un piccolo cimitero che circondasse l’intera chiesa, della larghezza di 2-2,5 passi. I lavori poterono dunque iniziare e si raccolsero le prime offerte, che raggiunsero le 773,08 lire (22). Prima di dare principio all’opera però i Regolieri si accorsero che il terreno in pendio verso oriente avrebbe reso malsicura la costruzione, perciò – con una votazione a maggioranza – decisero di accorciare la chiesa di un passo per quanto riguardava la navata e di mezzo passo per quanto concerneva l’abside che venne eseguito un passo più stretto del previsto. La decisione fu presa anche per risparmiare nelle spese. Dopo l’inizio dei lavori si osservò che la vecchia sagrestia, posta verso nord, era troppo umida e non permetteva una buona conservazione dei paramenti. Così nel 1711 fu chiesto il permesso al vescovo di costruire una nuova sacrestia a meridione e di poter mantenere l’altare della Beata Vergine dell’Aiuto – davanti al quale pendeva una lampada votiva d’argento – nello stesso sito in cui si trovava. L’opera di muratura volse al termine verso il 1716. Due anni più tardi furono costruite le spalliere del coro per ospitare i cantori, ai quali veniva corrisposto un compenso il giorno dopo la Pentecoste (23). Il cimitero fu completato invece verso il 1724, interrompendo così la secolare tradizione per cui gli abitanti di Falcade portavano i morti alla Pieve di Canale. In quello stesso anno fu pure restaurato il campanile (24). Negli anni seguenti vennero poi ordinati i nuovi altari della Beata Vergine del Carmine con san Francesco e santa Rosa (a destra) e della Visitazione della Vergine con i santi Giuseppe e Zaccaria, la Beata Vergine e santa Elisabetta (a sinistra) (vedi schede del catalogo). Nel 1725 fu acquistato a Venezia e dorato il tabernacolo (25), al quale fu aggiunta la cimasa nel secolo XIX. Nello stesso anno fu acquistato pure un calice d’argento del valore di 196,13 lire e due anni più tardi una lampada d’argento dal costo di 654 lire. Le suppellettili furono ulteriormente arricchite con l’acquisto di una croce del valore di 834,12 lire, di quattro vasi da palma e di una pianeta (26). Nel 1734, per ordine del vescovo, fu tolta e ricostruita la pala dell’altar maggiore, il cui dipinto, raffigurante san Sebastiano, fu più tardi commissionato a Valentino Rovisi (27). Nel 1737 fu innalzata la cappella laterale del Crocifisso. La richiesta di poter erigere tale altare fu avanzata da Marchiò De March a nome dei compaesani al vescovo di Belluno con le seguenti parole: “Eccellenza Reverendissima, la morte di’ nostri confratelli ci obligano placare la divina giustitia che ci flagella, coll’implorare la divina misericordia, quale per ottenerla non fu suspiratione più efficace che d’ergere per via di voto un sagro altare del Christo, sagrificio unico e compiacente per placare Iddio adirato per le nostre colpe. Indi tal voto nostro, confermato a pieni voti in concorso de’ Regolieri, col lascio di donna Santa Ganz, a consenso del reverendissimo arciprete come baràto per compirlo, supplichiamo noi deputati a nome di tutto il popolo colla più viva humilissime di concederci la licenza di fabricare l’altare già detto, stante lo facciamo per pura carità dai devoti senza il minimo aggravio della chiesa e di tale speranza ne viviamo sicuri, per havere col taglio e condotta di taglie per il campanile così affaticato più di qualunque Regola…Non mancheremo noi tutti di supplicar l’Altissimo per lo lungo governo della Sua greggia e prosperità di Vostra Eccellenza, di cui ci professiamo sino alla morte. In Falcade, li 15 aprile 1737”. La risposta affermativa del vescovo non tardò ad arrivare. Tuttavia mons. Domenico Condulmer, rimarcando che “…ad ottenere la gratia dal Dio delle misericordie non basta la erezione materiale di un altare”, ordinò la celebrazione annuale di un messa presieduta dall’arciprete di Canale con l’assistenza del mansionario. Nell’ottobre dello stesso anno l’altare era pronto e il sommo pontefice Clemente XII concedeva delle indulgenze speciali in suffragio delle anime dei defunti.
Il mansionario chiese poi al vescovo il permesso di collocare anche una statua di san Giovanni Nepomuceno per la venerazione dei fedeli. Nel 1742 Andrea de Seraffin, a nome della Regola, chiedeva e otteneva di poter istituire anche una Via Crucis per la salute delle anime degli abitanti del villaggio (28). Nel 1751 fu acquistata una nuova campana – dedicata alla Beata Vergine e ai santi Fabiano e Sebastiano – dalla fonderia Grassmayr di Bressanone (29).
Nella Visita pastorale del vescovo Giacomo Costa, avvenuta nel 1754, sono citati tre altari laterali: quello della Visitazione della Beata Vergine Maria, quello di san Francesco e quello del Crocifisso. Il prelato trova la chiesa in ottimo stato e ne loda l’amministrazione (30). Tra il 1764 e il 1768 fu restaurato l’altare del Crocifisso e nel 1785 ottenne da papa Pio VI il titolo di privilegiato (31).

L’aumento della popolazione e le migliorie apportate al sacro edificio fecero nascere nei Regolieri il desiderio di avere, accanto al loro mansionario, anche un cappellano curato che esercitasse le funzioni di parroco, pur rimanendo alle strette dipendenze dell’arciprete di Canale. In particolare i capi famiglia chiedevano la facoltà di poter battezzare i loro figli senza dover raggiungere ogni volta Canale, dal momento che la strada era lunga e spesso pericolosa sia per la neve d’inverno, sia per le piene dei ruscelli. Incaricati per la causa furono Bortolo figlio di Giacomo Costa e Girolamo Antonio quondam Francesco Cagnati i quali stipularono un accordo con il pievano stabilendo i diritti e i doveri del nuovo cappellano curato, che doveva essere eletto dalla Regola, ma approvato dall’arciprete di Canale. Il nuovo curato era tenuto a “…esercitare la cura di queste anime…, celebrare e istruire li fanciulli nella dottrina cristiana, visitare li infermi ed amministrare li sacramenti tanto alli infermi che alli sani, battizare li fanciuli nella chiesa di San Sebastiano dove, con il permesso e consenso del signor arciprete e con decreto di Sua Eccellenza, sarà fissato il fonte battesimale…; doverà dar sepoltura agl’angioli e per i corpi grossi, venendo ordinato dal suddetto signor arciprete, sia obligato anco dar sepultura a questi in figura di suo capellano, dovendo cantar la messa presente corpore pro detto signor arciprete, quale le verà restituita dal medesimo e le altre poi infra annum, cantate a Falcade le lascia a libera disposicione del capellano, non intendendosi in queste comprese le due funzioni di san Sebastiano e quella della beata Vergine delli due luglio, che saranno sempre del prefato signor arciprete, come pure tutte quelle messe che saranno ordinate…”. La Regola si impegnò poi a costruire una nuova canonica per il curato e di corrispondergli l’importo di quattro messe alla settimana. I battesimi amministrati dal cappellano dovevano essere annotati su un registro e una copia doveva essere inviata al pievano per la trascrizione sui registri della Pieve. Il permesso di contrarre il matrimonio doveva essere richiesto dal pievano, il quale aveva il diritto di ricevere due lire, mentre altre due andavano al cappellano curato per la celebrazione del rito. Le dispense tuttavia dovevano continuare ad essere esposte alle porte della Pieve di Canale. Così nel 1772 venne costruito il battistero e il cappellano iniziò a compilare i registri canonici (32).
L’arciprete di Canale dal canto suo doveva somministrare al curato 140 lire di stipendio, mentre quest’ultimo aveva il diritto di fare una “questua di bottiro” la settimana dopo il 20 di febbraio e una questua all’anno di frumento. In cambio l’arciprete riceveva un compenso dalla villa di Falcade che nel 1838 gli fruttava un attivo di 261,53 lire. Nel caso in cui il cappellano fosse stato indisposto a assente, le sue veci potevano essere fatte dal mansionario.
Lo statuto – che istituiva in realtà la curazia di Falcade – apriva le porte alla fondazione della parrocchia, le cui pratiche inizieranno nel 1861.

Un periodo difficile per le condizioni del sacro edificio fu la caduta della Serenissima, nel 1797, quando le truppe napoleoniche imposero la consegna di tutta l’argenteria della chiesa. In quell’occasione il sacrestano dovette andare a Belluno per portare i preziosi arredi, parte dei quali – e cioè le tre tabelle e i quattro candelieri d’argento dell’altare del crocifisso – furono recuperate probabilmente versando ai soldati una impegnativa tangente, come accadde per altre chiese del circondario (33). Parte del corredo d’argenteria fu ricostituito qualche anno più tardi, dal momento che nel 1808 l’inventario compilato dai primi fabbricieri menziona due pissidi, un calice con patena, una cazzetta per l’olio santo, due bossoli nel batisterio, un crocifisso e – come doni dei benefattori – un turibolo con navicella e cuchiaggio, due calici con patene, un paro tolele, un misale con fornimenti di argento, una pace, una croce soraardentata, un paro tabele soraardentate, e un ostensorio, segno che i fedeli avevano immediatamente provveduto a riparare i danni perpetrati dal governo napoleonico (34). Nuovi acquisti di suppellettili furono effettuati anche nel 1817, quando vennero commissionate tre tabelle d’altare all’intagliatore di Cencenighe Antonio Manfroi (35).

La cura dell’ordinaria amministrazione del sacro edificio era affidata a un sagrestano, del quale ci è pervenuto un regolamento scritto dalla Fabbriceria di Canale nel 1822, quando ricopriva l’ufficio Pietro Secchi. Tra i doveri del sacrista c’erano quelli di accompagnare il viatico in tutta la frazione di Falcade, essere presente alla celebrazione dei battesimi e dei matrimoni, “…suonare ogni giorno i soliti segni dell’Ave Maria, la mattina, il mezo giorno e la sera, così ad un ora di notte il solito segno del Deprofundis ed Ave per intercedere la liberazione dai pericoli d’incendio e…suonare da rosario ed altro conforme la consuetudine”, aprire e chiudere la chiesa, pulire, addobbare e custodire l’edificio con il campanile e il cimitero comunale, registrare l’orologio comunale, suonare le campane “all’evenienza dei cattivi tempi”, ossia quando minacciavano un temporale, informare i familiari dei defunti “nelle misure tracciate dai regolamenti sanitari” sulla situazione delle fosse, risparmiare nell’uso di cera e olio. Lo stipendio consisteva invece nella decima parte della raccolta effettuata dall’arciprete di Canale per conto del cappellano curato il giorno tre novembre, la decima parte del ricavato dei baci di pace (36), “meza calvia di segalla e di sorgo a piacimento per ogni famiglia”, “per ogni cadavere che oltrepassa l’ettà di anni quatordici…lire una e soldi quindici”, “per suonar da morto per un cadavere al di sotto degli anni quatordici lire una”. Inoltre percepiva una piccola somma di denaro per ogni battesimo e matrimonio, per mantenere le ostie, raccattare i frammenti di cera, raccogliere le offerte in chiesa, coprire gli altari la domenica di Passione (37).

La vita spirituale del paese – che contava già su una bene organizzata Congregazione della Dottrina Cristiana, di cui nel 1820 era deputato Antonio quondam Giovanni Maria De Pellegrini – subì un forte incremento con la fondazione di due nuove confraternite. Il 1° luglio 1827 fu eretta nella chiesa la “Scuola Carmelitana”, ossia la confraternita della Beata Vergine del Monte Carmelo, sull’esempio di quella creata nel 1732 nella chiesa di Celat. Lo statuto prevedeva che chiunque fosse entrato nella fraglia, dovesse pagare ogni anno una quota non inferiore ai dieci soldi. La direzione era composta da un registratore, un esattore, un cassiere e un custode della chiave della cassella. Il denaro raccolto dai confratelli e dalle consorelle doveva poi servire per essere impiegato principalmente nella festa della fraglia, il 16 luglio, quando veniva celebrata una messa bassa dal mansionario e una messa solenne dal curato. Alla morte di ciascun membro veniva fatta celebrare dal curato una messa con vespro, ma solo nel caso in cui il confratello o la consorella o perlomeno i parenti, avessero pagato l’ultima quota di iscrizione. Ciascun membro era tenuto a portare un abitino – detto pazienza – al collo, ottenendo in cambio l’indulgenza plenaria. I primi iscritti nel 1827 erano 101. L’elenco è aperto da De Pellegrini Giovanni Maria di Francesco eda De Pellegrini  Giovanni Maria quondam Antonio.
Dopo che un decreto del vescovo Luigi Zuppani aveva permesso al curato, nel 1815, di cantare il mattutino la notte di Natale, una successiva concessione emanata nel 1828 concedeva al curato di celebrare tutte le funzioni della Settimana Santa ad eccezione della benedizione del cero e autorizzava l’erezione di una confraternita del Santissimo Sacramento autonoma da quella di Canale. La fraglia fondò un patrimonio che nel 1884 raggiungerà una decina di rendite (38).

L’edificio sacro fu allungato di una campata nel 1828 grazie al permesso rilasciato dal vescovo l’anno precedente. I lavori di ingrandimento e restauro si protrassero fino al 1841, quando fu risistemato anche il tetto (39). Un successivo restauro avvenne nel 1852, quando l’interno della costruzione fu completamente rifatto. Il lavoro fu affidato al maestro cotimista Antonio Bez, con il preciso compito di trasformare gli intonaci secondo un nuovo disegno presentatogli dalla Fabbriceria. Tra le modifiche, si dovevano eseguire nuove semicolonne con un capitello in stile dorico, in modo da dare all’interno la forma che ancora oggi essa conserva. Anche la cantoria della chiesa venne ridipinta dalla maestria dell’indoratore Silvestro Nart di Carfon nel 1856. Tre anni più tardi il tagliapietra Giovanni Scola ricostruì la scalinata della porta laterale e nel 1860 fu ricostruito il tabernacolo dal carpentiere Giovanni Deola di Canale, autore pure del pulpito della chiesa arcipretale. L’artista – con il quale la Fabbriceria aveva stipulato un contratto per la ricostruzione dell’intero altare, compresa l’alzata, accettò di costruire solo il tabernacolo con due angeli, offeso dal  malcontento sorto tra la popolazione circa un altare eseguito precedentemente da lui (40).

Ormai la curazia era cresciuta a un punto tale da essere abbastanza matura per diventare parrocchia. La questione però sembrava più complicata del previsto, per cui dopo lunghe trattative durante le quali la presenza del curato e dei suoi sostituti divenne instabile, soprattutto tra il 1858 e il 1866, il vescovo decise di emanare il suo decreto e il 20 gennaio 1866 Falcade diveniva parrocchia indipendente da Canale. Era il primo strappo all’unità della vecchia pieve dopo secoli di storia comune. Le motivazioni principale della decisione erano la distanza dalla chiesa parrocchiale e le cattive condizioni climatiche, soprattutto dell’inverno. Con il distacco di Falcade il beneficio arcipretale veniva a perdere una parte cospicua dei suoi introiti. Per riparare al danno subìto, la Curia pensò quindi a una transazione per cui in cambio dell’autonomia, ogni anno venisse corrisposta all’arcipretura di Canale una somma di 17,50 fiorini, mentre una volta al mese una rappresentanza di Falcade continuava a partecipare alla messa domenicale nella chiesa della Pieve – tradizione che durò almeno fino alla prima Guerra Mondiale – e il 23 giugno, vigilia della festa di san Giovanni Battista, si continuava a fare una processione intorno alla chiesa (41).

Nel 1869 viene restaurato a spese del comune il tetto del campanile, come ricorda una carta inserita nel globo della croce, in cui erano scritti i nomi del sindaco Stefano Piccolin fu Angelo e dell’assessore Francesco Zandò fu Valentino (42).
La chiesa, abbellita di molte suppellettili e curata da nuovi lavori di restauro, mancava però di uno strumento musicale. Così il 12 febbraio 1872 l’organista e segretario comunale Pio Bressan e l’assessore comunale Giuseppe Costa andarono a Predazzo per trattare l’acquisto dell’organo della vecchia chiesa curaziale, che era stata abbandonata in seguito alla costruzione di quella nuova, inaugurata appena due anni prima (43). Le trattative però si dimostrarono difficili. Nella seduta del 19 febbraio 1872 la Rappresentanza comunale di Predazzo decise infatti di non vendere l’organo per un prezzo inferiore ai 500 fiorini, mentre i rappresentanti del Comune di Falcade ne offrivano 350 (44). La vertenza non durò tuttavia che pochi giorni, perché il 28 febbraio Valentino Michieluzzi preparava la strada per il trasporto dell’organo che fu smontato nella vecchia chiesa di Predazzo il 3 marzo dello stesso anno e rimontato alcuni giorni più tardi nella parrocchiale di Falcade (45).
Nuovi lavori interessarono la chiesa tra il 1880 e il 1907, durante gli anni in cui fu parroco don Augusto Pellegrini. Nel 1882 infatti il sacerdote scrisse alla ditta De Poli che il comune e la parrocchia di Falcade avevano deciso di sostituire le vecchie campane con un concerto di tre nuove, in concomitanza con la ricostruzione del campanile che stava avvenendo in quegli anni grazie all’interessamento dell’amministrazione comunale. Le nuove campane furono così collocate sulla torre riedificata in stile neogotico. Altri lavori interessarono poi la chiesa. Nel 1886 infatti il falegname Francesco Ganz ristrutturava l’altar maggiore – progetto lasciato cadere dal 1860 quando era stato proposto a Giovanni Deola – e dieci anni più tardi furono ricostruite le mense dei tre altari laterali in finto marmo, secondo il gusto dell’epoca. Vennero poi restaurati il pulpito, i confessionali, la sagrestia e i banchi. L’opera di doratura fu affidata ai maestri Antonio Gardazzo e Giuseppe Garizzo di Venezia – che decorarono anche le cornici della Via Crucis, opera di Giovanni Battista Deola – mentre Francesco Ganz con il figlio Andrea eseguivano le opere di carpenteria e le mense degli altari e Valentino Zandò, Antonio De Pellegrini e Luigi De Pellegrini quelle di muratura. Nel 1903 fu la volta dell’abside, con la costruzione della gradinata dell’altar maggiore – eseguita da Fiorino Dal Molin – e del pavimento, coperto dalle piastrelle esagonali rosse e bianche che si vedono ancora oggi. Quattro anni più tardi fu rifatto con lo stesso materiale anche il pavimento della navata (46).
Per far fronte alle nuove esigenze della parrocchia – che viveva un continuo incremento demografico, nel 1910 fu costruita dal parroco don Antonio De Cassan la “Casa del Popolo” per svolgere le varie attività parrocchiali soprattutto giovanili (47).
L’8 aprile 1918 segnò un altro dei momenti dolorosi per la chiesa, paragonabile alle requisizioni napoleoniche del 1797: furono infatti trafugate le campane dai soldati austriaci in ritirata dopo la disfatta di Caporetto. Il contratto per le nuove campane fu firmato il 24 gennaio 1920 (48).
Nel 1921 il vicario parrocchiale don Augusto Bramezza acquistava dall’artista Vincenzo Cadorin una nuova statua dell’Immacolata, che collocò sull’altare della Beata Vergine al posto della vecchia pala, che fu riposta in una soffitta, da dove fu recuperata e ricollocata nella sua posizione originaria dal parroco don Vincenzo Da Ronch (vedi schede del catalogo).
Nel 1926 la chiesa fu tinteggiata interamente e l’organo fu smantellato e riposto in un magazzino e sostituito da un semplice armonium per creare più posto nella cantoria, come apprendiamo dal bollettino parrocchiale dell’ottobre di quello stesso anno (49).
Nel 1933 il parroco don Augusto Bramezza, vista la crescita del paese, che si era esteso nel fondovalle, propose la costruzione di una chiesa nuova, consacrata nel 1947. Dal quel momento San Sebastiano divenne semplice chiesa sacramentale, ma continuò ad essere servita dal mansionario, che andò ad abitare nella canonica del parroco, il quale nel frattempo si era trasferito vicino alla nuova chiesa sul Col de Frena. Tra il 1953 e il 1954 furono eseguiti gli affreschi dell’abside, per lasciare un ricordo dell’anno mariano, come ricorda una scritta posta sull’arco trionfale e vennero compiuti lavori di deumidificazione e di restauro del tetto, grazie anche al contributo dell’amministrazione comunale (50). L’ultimo intervento di restauro fu eseguito tra il 1985 e il 1991, quando l’edificio fu risanato dall’umidità e venne ricostruito il tetto in scandole.

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(1) AVBL, Visita pastorale vescovo Galeso Nichesola – 1518, busta A3, vol. prot. 1516-1550, c. 137r; AVBL, Visita pastorale del cardinale Gaspare Contarini – 1539, busta A1/3, c. 13r.

(2) AVBL, Visita pastorale del cardinale Gaspare Contarini – 1539, busta A1/3, c. 13r.

(3) AVBL, Visita pastorale vescovo Giovanni Battista Valier – 1583, busta A2/11, p. 25.

(4) T. De  Nardin-G.Tomasi, Il capitaniato di Agordo nel Cinquecento, Firenze, Istituto di Studi per l’Alto Adige, 1989, pp. 97-98.

(5) AVBL, Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1600, busta A4/1A(V), c. 8r; AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 52v.

(6) AVBL, Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1600, busta A4/1 (II), c. 1r.

(7) AVBL, Visita pastorale vescovo Benedetto Benedetti – 1619, busta A4/16, c. 31r

(8) Le pitture dell’abside sono ricordate anche nella Visita del vescovo Malloni. AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1641, busta A6/11, c. 37r.

(9) Il vescovo Dolfin cadde probabilmente in errore identificando in una statua l’immagine di sant’Agostino. È più probabile invece che il santo raffigurato sia Fabiano, che appare sempre in coppia con Sebastiano e riconosciuto come tale dal vescovo Malloni durante la sua visita del 1641. AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1641, busta A6/11, c. 37r.

(10) AVBL, Visita pastorale vescovo Giovanni Dolfin – 1626, A5/1, c 57r; AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 52v.

(11) AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, c. 169v.

(12) AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1641, busta A6/11, p. 95; AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis  – 1662, busta 8/1, fasc. I, c. pp. 25-26, 56.

(13) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis  – 1655, busta 7/8, fasc. I, c. 26r.

(14) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis  – 1662, busta 8/1, fasc. I, c. pp. 25-26, 56. Quando il vescovo giungeva per la Visita pastorale, la chiesa veniva addobbata e abbellita. Spesso le spese per l’accoglienza del prelato erano assai gravose per la piccola comunità ed erano pari a dieci stipendi del sagrestano. APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788,  cc. 3 e 5, busta P23/1, anni 1714 e 1716.

(15) AVBL, Visita pastorale vescovo Giulio Berlendis – 1669, busta A8/6, cc. 2v, 44; AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, Chiesa di san Sebastiano di Falcade, busta 26IA. Nell’anno 1700 troviamo pure una croce, una pisside, e un vaso d’argento.

(16) La chiesa di San Sebastiano pagava una parte delle quota per i lavori straordinari effettuati nella matrice, ad esempio quando la chiesa della Pieve acquistò l’organo Monaci nel 1742, o come quando contribuì, nello stesso anno, alla ricostruzione della canonica arcipretale di Canale, distrutta da un incendio il 29 agosto 1741. APF, Libro dei Conti del massaro 1714-1788, c. 37, a. 1739; c. 43, anno 1742.

(17) AVBL, Visita pastorale vescovo Luigi Lollino – 1613, busta A4/12(IA), c. 39r; AVBL, Visita pastorale vescovo Tommaso Malloni – 1635, busta A6/2, fasc. I, cc. 50-51.

(18) Epifania, Circoncisione di Gesù, Pasqua, terza festa di Pasqua, Pentecoste, terza festa di Pentecoste, le quattro feste della Purificazione, Annunciazione, Assunzione e Natività di Maria, le feste degli apostoli e degli evangelisti, le prima domenica di ogni mese, il 29 luglio, anniversario della conssacrazione della chiesa, l’Ascensione, Tutti i Santi, Natale.

(19) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di San Sebastiano, 1708, busta 26IA; APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, cc. 7 e 11, busta P23/1, anni 1718 e 1723; APF, Fabbriceria, Conti consuntivi, tit. 19, busta F/9-VI; APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, c. 45, busta 23/1, anno 1742.

(20) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, mansioneria di Falcade, 1684, busta 26/IB.

(21) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di San Sebastiano di Falcade, Richiesta ingrandimento chiesa e costruzione cimitero, busta 26IA, 1701.

(22) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di San Sebastiano, ampliamento, 1708 busta 26IA; AVBl, Visita pastorale vescovo Giovanni Francesco Bembo – 1708, busta 12/10, fasc. C, cc. 58r-59r.

(23) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di San Sebastiano, 1708-1771, busta 26IA; “contadi in casa de la fabricha lire 82.2; spessi in contadi in cassa de la fabbrica lire 33.10”, APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, c. 4, busta P23/1, anno 1716; “spesi nella farcitura delle sedie dei cantori lire 55.00; spesi nella merenda a marangoni dele sedie lire 3.00”, ibidem, c. 7, anno 1718; “Item speso nel pasto dei cantori la seconda festa della Pentecoste lire 38,00”, ibidem, c.11, anno 1723.

(24) AVBL, Visita pastorale vescovo Valerio Rota – 1724, busta 18/9, fasc. VI, c. 2r; “spessi in restorar il campanile et drizzar le crocce lire 99.01”, APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, c. 13, busta P23/1, anno 1724.

(25) “spesi in zera biancha per Venecia con dazio et porto per il tabernacolo lire 32.18; spesi in fatture e doratura del detto [tabernacolo] tuto con oro […] lire 163.06”, APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, c. 14, busta P23/1, anno 1725.

(26) APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, cc. 14, 17 e 23, busta P23/1, anni 1725, 1727 e 1731.

(27) “spesi in levar pala grande in ordine di visita lire 349.16”, APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, c. 31, busta P23/1, anno 1734.

(28) AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, chiesa di San Sebastiano, Erezione altare del Crocifisso, busta 26IA.

(29) APF, Massaria, Registro offerte per la campana di san Sebastiano,1751, busta P23.

(30) AVBL, Visita pastorale vescovo Giacomo Costa  – 1754, busta 21/11, fasc. I, p. 54.

(31) “spesi per la scalinata del altar del santissimo crocifisso, fattura di pria e condota, aste et decreti, in tuto lire 241,09”, APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1714-1788, c. 90, busta P23/1, anno 1764; spesi per cavar un decreto dal mons. Vescovo per la restauratione del altare del santissimo crocefisso lire 3.02; spessi per tal affare a sua Eccellenza podestà, decreto lire 6.00; spesi con il nodaro per imbozar il decreto per il detto afare lire 1.00; spessi a far l’altare del santissimo crocefisso et indorarlo lire 556.03; spesi a meter suso i crestali del altare del santissimo crocefisso lire 18.17”, ibidem, c. 95, anno 1768. Nel 1769 i fedeli di Falcade che abitavano a Venezia donarono all’altare tre cartegloria d’argento con la seguente iscrizione: “Fu fatte di carità dalli patrioti di Falcade abitanti in Venezia e donati al Christo di detta chiesa. Anno 1769”.

(32) “spesi a fornir il vello del sacro fonte lire 3.05”, “spesi in due libri per registro de batezati e morti un per canonica lire 8,00”, APF, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei Conti del massaro 1714-1788, c. 102, busta P23/1, anno 1773; AVBL, Parrocchie, Canale d’Agordo, Curazia di Falcade, 1771-1838, busta 26I/II; AAC, Beneficio curaziale di Falcade, Atti istitutivi, 1771-1772, busta 128/1. Nel 1829 una sottoscrizione della Frazione impegnava tutte le famiglie che seminavano un campo a corrispondere al curato una calvia bellunese di frumentonel mese di novembre di ciascun anno, mentre le famiglie che non seminavano dovevano offrirgli 12 soldi veneti.

(33) AAC, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1789-1829, c. 30, busta 135/4, anno 1797.

(34) APF, Fabbriceria, Inventari, Inventario dei beni mobili della chiesa di San Sebastiano, 1808, busta F7/1.

(35) AAC, Massaria, chiesa di San Sebastiano, Libro dei conti del massaro 1789-1829, c. 59, busta 135/4, anno 1817.

(36) I baci di pace erano un rito che veniva compiuto dal sacerdote nelle messe solenni, il quale al momento dello scambio della pace faceva baciare una immagine di solito d’argento, mentre il sagrestano raccoglieva un’offerta.

(37) AAC, Fabbriceria, Contabilità speciali, Sacrestani, chiesa di San Sebastiano, 1822, busta 103/3.

(38) APF, Confraternite, Confraternita del Carmine, Confraternita del Santissimo Sacramento e Congregazione della Dottrina Cristiana, 1820-1884, busta C1.

(39) APF, Corrispondenza con il curato, 1827, busta P20/1; AAC, Fabbriceria, Gestione edifici, arredi e opere di culto, chiesa di San Sebastiano di Falcade, Restauro tetto, 1840-1841, busta 72/7.

(40) APF, Fabbriceria, Conti consuntivi, 1852-1862, buste F10 e F11, tit. 13 e 23, sub anno.

(41) AAC, Parrocchia, Beneficio curaziale di Falcade, Erezione nuova parrocchia, 1866, busta 128/7; APF, Il Focolare, bollettino parrocchiale, anno I, n. 6, giugno 1925, p. 4. Dopo la costituzione della nuova parrocchia, il 25 aprile le rogazioni maggiori venivano svolte a Ganz. APF, Il Focolare, bollettino parrocchiale, anno I, n. 4, aprile 1925, p. 4.

(42) AVBL, Parrocchie, Falcade, chiesa di San Sebastiano, 1866-1947, busta 48B/1.

(43) Felicetti Lorenzo, Memorie ecclesiastiche della parrocchia di Predazzo, Cavalese, 1904, p. 20; Gabrielli Giuseppe, Memorie ecclesiastiche di Predazzo, 1966, pp. 20, 41, 50, 52. Ringrazio il signor Arturo Boninsegna di Predazzo per le informazioni fornitemi.

(44) ACPR, Sessioni della Rappresentanza Comunale, 19 febbraio 1872. Ringrazio il maestro Fiorenzo Brigadoi di Predazzo per la preziosa informazione.

(45) APF, Fabbriceria, Chiesa di San Sebastiano, Acquisto organo, 1872-1874, busta F2/14.

(46) APF, Fabbriceria, Conti consuntivi, 1880-1907, buste F12 e F13, tit. 13 e 23, sub anno; APF, Fabbriceria, Chiesa di San Sebastiano, Lavori e restauri, 1896-1907, busta P28/3.

(47) La casa fu oggetto dei lavori di restauro e conservazione nel 1996, quando fu rifatto il tetto e il pavimento interno, con l’apertura di una nuova porta, in modo da renderla a norma e funzionale per le attività.

(48) APF, Fabbriceria, Chiesa di San Sebastiano, Lavori e restauri, 1918-1920, busta P28/3.

(49) APF, Il Focolare, bollettino parrocchiale, anno II, n. 10, ottobre 1926, p. 4.

(50) La scritta recita testualmente: “D.O.M. divoque Sebastiano hoc templum restauratum est anno MDCCCLII; refectumque MCMXXVI; anno mariano MCMLIV pictis ornatum”.

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